le basi di fisiologia per lo sportivo...

LO STEADY STATE

Sulla scorta di quanto detto sopra, immaginiamo di aumentare lo sforzo progressivamente, e di interrompere questa progressione nel momento in cui l’atleta è in condizioni di equilibrio: cioè quando si riesce a compensare con la respirazione e il metabolismo lo sforzo che gli si richiede. In altre parole, immaginiamo ad esempio che un atleta corra ad una velocità alla quale gli pare di poter “tenere il passo” senza un limite preciso. Questa situazione di equlibrio viene chiamata steady state.
Lo sforzo massimo che può essere chiesto in condizioni di steady state è detto
a limite di durata”, nel senso che aumentando lo sforzo diminuisce la durata massima dell’esercizio fisico. Se chiediamo ad un atleta di accellerare la corsa, egli lo farà senza problemi: solo, che la sua corsa accellerata durerà meno della corsa che riesce a fare se gli chiediamo al contrario di rallentare. Ecco che il volume dello sforzo incide sulla dimensione del tempo in cui questo sforzo può essere retto.

Nella storia della preparazione atletica, questo rapporto tra volume dello sforzo e tempo in cui può essere mantenuto, ad un certo punto è stato sentito come un limite, in quanto impediva all’atleta di esercitarsi per un tempo sufficiente in una condizione di lavoro superiore a quelal dello steady state. Se infatti lo sforzo superava la soglia critica, esso doveva essere necessariamente di breve durata, perchè si andava in debito si ossigeno e occorreva ripristinare le condizioni energetiche di equlibrio. Ad un certo punto irruppe sulla scena una tecnica, direi una specie di trucco, per spingere l’energia ad un livello superiore a quello consentito da questa proprorzione, per un periodo di allenamento notevole.

clicca qui per andare alla pagina seguente

clicca qui per andare all'indice degli argomenti