------------------------------ sua maestà 
il cinescopio

 

Vecchio, vecchissimo, forse decrepito. 
Ma non ostante tutti i pretendenti 
alla successione 
che si affollano attorno, 
resta saldamente 
il re degli strumenti 
per la visualizzazione dell'immagine 
video: televisiva, da computer 
e da qualunque altro supporto.

da Audio Review

 
 
l
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l principio di funzionamento del cinescopio è basato su una proprietà di certi composti (chiamati in gergo «fosfori», perché si tratta sostanzialmente di composti a base di questo elemento) di emettere luce quando sono colpiti da una certa quantità di elettroni. 
Il cinescopio stesso è una specie di ampolla di vetro, sul cui fondo (lo schermo) è stato spalmato questo composto, che viene colpito da un raggio di elettroni generato da un dispositivo presente dalla parte opposta del cinescopio (vedi figura 1). Questo raggio dev’essere molto sottile, per permettere una buona definizione dell'immagine; così come un pittore ha bisogno di un pennello sottile se vuole dipingere dei particolari minuti. 
Ed ecco perché il raggio illumina una superficie minima dello schermo, che può in pratica essere considerata addirittura puntiforme. Per dipingere l’immagine su tutta l'area dello schermo, il raggio di elettroni deve percorrerlo dunque tutto, un punto dopo l'altro. Il suo percorso è standardizzato: parte dall’angolo superiore sinistro. compie una serie di «righe» orizzontali poste l'una sotto l’altra, fin che non si trova ad illuminare l'angolo inferiore destro (vedi figura 2). A questo punto risale, e riparte all’angolo sinistro in alto, come all’inizio. 


 (segue più sotto)
 

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Figura 1 - Il principio di 
funzionamento del cinescopio 
è abbastanza semplice:
vi sono alcuni composti 
(in gergo detti «fosfori») 
in grado di emettere luce
quando vengono colpiti da
un numero sufficiente 
di elettroni: aumentando 
o diminuendo la «forza» del 
raggio  di elettroni aumenta 
o diminuisce la luminosità 
del punto colpito. Si tratta 
dunquedi un dispositivo analogico, 
perchè la luminosità dello schermo
è analoga all'intensità della corrente 
che lo colpisce. Il segnale che arriva
al cinescopio dev'essere analogico!
Figura 2 - Gli elettroni 
sono «deviati»
dai campi magnetici, e dei
segnali opportunamente
immessi in apposite
bobine possono far
compiere al raggio un
percorso a righe che
gli fa percorrere la
superifcie dello schermo 
ogni 50.mo di secondo (nel PAL). 
Figura 3 - ll segnale
video può essere
assimilato ad un’onda
elettrica (a sinistra) che
ha un andamento
corrispondente
all'aumento o alla
diminuzione della luminosità del
teleschermo, riga dopo riga. Ad
un’onda come quella della figura,
potrebbe ad esempio
corrispondere una riga
del teleschermo che
parte dal nero, sale
rapidamente al livello I
dischermo bianco, e decresce più 
lentamente fino a tornare a livello 
di schermo nero. Si è operata 
una «spazializzazione» 
(sul teleschermo) 
di un’onda elettrica 
(che era nella dimensione del tempo).
Figura 4 - -Immaginiamo di 
vedere un cinescopio dall’alto; 
Il segnale a destra, applicato 
alle bobine che creano il campo 
magnetico, genera una 
deflessione» del pennello 
da un punto all’altro dello 
schermo, man mano si passa 
dal minimo del segnale al massimo. 
A questo punto il segnale torna di 
colpo al minimo, 
e in questa circostanza 
un secondo segnale fa sì che l’inizio 
del nuovo percorso del fascio 
di elettroni sullo schermo non 
si sovrapponga alla riga appena
descritta, ma che scenda
(di scatto) di una riga; in modo 
che ne inizi una nuova. 
Una volta descritte 625 linee 
(nel PAL) si è disegnato 
uno schermo completo.

 

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(seguito)

Serie e parallelo

Se durante questo percorso l’intensità del raggio aumenta o diminuisce, aumenterà o diminuirà anche la luce che viene emessa dai fosfori istante dopo istante: la variazione che (a livello del segnale immesso) era nel dominio del tempo, viene ora distribuita nello spazio rappresentato dalla superficie dello schermo: in un certo tempo c’era una variazione nel segnale, a cui corrisponde una variazione di luminosità in un certo spazio del teleschermo (vedi figura 3). 
Il gioco di serializzazione e di spazializza-zione delle variazioni di luminosità e/o di colore è uno dei cardini essenziali del mondo video, ed è forse la caratteristica più tipica dell’immagine elettronica, quando viene confrontata con le altre: quelle stampate su carta o presenti su pellicola. 
L’intensità del raggio catodico varia insomma in base alle caratteristiche di ogni punto dell’immagine; non è così per il suo percorso, che rimane sempre identico, almeno all’interno di ogni standard televisivo (PAL e SECAM del resto hanno gli stessi percorsi). 
Una delle tante proprietà degli elettroni è quella di poter essere «deviati» da un campo magnetico. Si usa infatti proprio un campo prodotto da alcune bobine (dette nel loro complesso «gioco di deflessione») per «pilotare» il raggio nella zona di teleschermo dove va indirizzato istante dopo istante. 

Sotto il giogo

Il segnale disegnato in figura 4 viene applicato alle bobine, e genera dunque un campo magnetico. Quando il segnale aumenta, aumenta anche il campo magnetico (e quindi la deviazione del raggio) da un minimo ad un massimo: quando il segnale torna a zero, un apposito segnale provvede ad imprimere al raggio un cambio di posizione dall’aito verso il basso, e quindi a far «scendere» il raggio di una riga; mentre il segnale elettrico disegnato in figura risale per la seconda volta, il fascio di elettroni illumina dunque un’altra riga del teleschermo, e così via per tutta la superficie. 
Nell’esempio riportato in figura il raggio sarà andato verso destra o verso sinistra; applicando un segnale adeguato alle varie bobine è evidentemente possibile mandare il raggio in qualunque direzione, e comunque fargli compiere il complesso sistema di righe descritto in figura 2. 
Mi sono soffermato un po’ sulla «guida» del raggio perché è in qualche modo legata al problema dell’angolo di deflessione. «Deflessione» è una parola difficile; ma alla luce di quanto detto dovrebbe avere ormai un significato intuitivo; indica la «flessione», la piegatura del raggio che altrimenti andrebbe a colpire sempre uno stesso punto (sempre quello) dello schermo. 
Fino a pochissimi anni fa, si sono privilegiati i cinescopi con un angolo di deflessione ampio, perché questo permetteva di ridurre l’ingombro posteriore del mobile (vedi figura 5). 
C’è tuttavia da rilevare che negli ultimi tempi la tendenza si è invertita, ed i cinescopi che vanno oggi per la maggiore sono molto profondi. 
Lo schermo è sempre fatto a sezione di sfera, altrimenti non si potrebbe mettere a 
fuoco il raggio catodico sui fosfori (fig. 6). Ad un certo punto si sono voluti introdurre degli schermi più «piatti» rispetto a quelli tradizionali; e questo è stato ottenuto per lo più aumentando le dimensioni della sfera ideale di cui il teleschermo è una sezione. Questo ha spostato indietro il punto da cui 
 

consiste nell’uso di una specie di rete forata, che viene messa tra la sorgente del raggio di elettroni e lo schermo. È chiaro che la nitidezza dell'immagine sullo schermo dipende parecchio da questa maschera (peraltro messa a punto inizialmente per la realizzazione dei cinescopi a colori): si tenga conto che vi sono dei modelli di cinescopio in cui questo dispositivo arriva a raccogliere il 70, o anche l'80~k della corrente emessa dal catodo! 
Significa che tutta questa energia (se non fosse trattenuta da questo dispositivo) causerebbe un'immagine molto più confusa e molto peggiore: solo parte degli elettroni che arrivano alla maschera sono tanto «in linea» e orientati con precisione in modo da fornire l'immagine così precisa come quella che vediamo su un eccellente schermo (fig. 7). 

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Figura 5 - C’è stato un periodo
(fino a pochissimi anni
fa) in cui pareva affermarsi 
la tendenza ad un
aumento dell’angolo di 
deflessione.
Questo aumento portava 
infatti ad una
riduzione nell’ingombro
in profondità
dei mobili.
Qualche costruttore
dichiarava
entusiasticamente che
prima o poi (per questa
via) si sarebbe arrivati
agli schermi piatti... la
storia ha invece invertito
ben presto la tendenza, e
si è tornati presto ad
angoli più piccoli (vedi
fig. 6).
Figura 6 - Lo schermo televisivo 
classico è a sezione di sfera,
(come a destra) 
perché se fosse piatto, l’immagine 
risulterebbe sfocata al centro 
(nel caso dello schermo posto
a destra) o ai bordi (nel caso dello 
schermo rappresentato dalla riga rossa 
posta a sinistra).
Per evitare questa sfocatura, 
i più comuni «schermi piatti» 
sono stati ottenuti soprattutto 
spostando indietro il generatore 
di elettroni, e quindi aumentando 
la sfera di cui il cinescopio 
rappresenta una sezione 
(figura in basso).
Questo ha comportato 
evidentemente un aumento 
dell’ingombro in profondi'.
 
Figura 7 - La maschera posta 
dietro il teleschermo è un dispositivo 
di ' grande importanza, per permettere 
di ottenere un raggio delle giuste 
dimensioni e soprattutto collimato 
in modo eccellente, in modo che 
vada a colpire i fosfori a cui è 
diretto senza debordare su quelli vicini.
Il raggio di elettroni non ha I
‘..evidentemente un suo colore, e se
colpisce due fosfori diversi produce 
comunque un colore
' composto da questi due, 
anziché quello voluto e codificato
originariamente.
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Cosa limita la 
risoluzione
in un cinescopio? 

È detto nel testo 
che i componenti 
che «fanno» la 
risoluzione sono 
molti, nel senso che 
– come in altri campi – 
anche qui il massimo 
risultato è quello permesso
dal componente peggiore. 
Se si ha ad esempio un 
cinescopio fantastico, 
da 490 linee orizzontali,
ed un programma con 
190 linee orizzontali, 
ebbene, si avranno 190 linee orizzontali: 
il cinescopio non può 
certo creare informazioni 
che non gli vengono passate.
Le dimensioni dei fosfori 
sono uno degli elementi 
più critici; una grandezza 
al giorno d'oggi molto 
comune potrebbe essere 
quella corrispondente a
circa 0.5 mm. Con l’arrivo d
i registratori amatoriali in 
grado di superare le 400 
linee di risoluzione orizzontale, 
si supera facilmente la massima 
risoluzione possibile in molti 
TV, soprattutto se di livello 
medio-econo-mico.
Questo tipo di innovazioni 
ha portato alla costruzione 
di fosfori più piccoli, e non 
mancano ormai degli schermi
con fosfori uguali od inferiori a
gli 0.3 mm.
Migliorata la risoluzione del 
cinescopio e dello standard 
di videoregistrazione, è ormai 
proprio quella dello standard 
televisivo, a mostrare le corde.

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SULLA DEFINIZIONE NON SI DICE
MAI ABBASTANZA

Potrei definire estemporaneamente la «risoluzione» come la capacità di un apparecchio o di un sistema di rendere dei particolari minuti nell’immagine. 
Un apparecchio o un sistema con una risoluzione più elevata di un altro è insomma in grado di rendere le immagini con maggior nitidezza e con più particolari. 
Spero che sia chiaro a tutti il fatto che risoluzione non va confusa con ingrandimento: una fotografia ricca di particolari e nitida, può rivelarci più particolari di una di maggiori dimensioni, ma più povera di infarmazioni visive. Ci può dunque essere un’immagine grande ma con pochi particolari, e una piccola con molti dettagli. 

Come la si misura

I due modi che si usano nel mondo video per definire la definizione sono rispettivamente il numero di linee, e il numero di pixel. 
Dato che (almeno fino ad ora) tutti gli standard video commerciali hanno lo stesso rapporto base/altezza, si è quasi sempre usato misurare il numero di linee orizzontali; le linee verticali sono caratteristiche di ciascun sistema televisivo, e qualunque esperto ormai le conosce a memoria: ma è bene sapere che la risoluzione può essere considerata ‘anche come pixel, perché si comincia a consi-derarla in questo modo – ad esempio – quando si parla dei sensori delle telecamere. 
Il numero di pixel è in fondo derivato dal mondo digitale, e non è che il numero totale dei «punti» presenti sullo schermo in modo indipendente. 
Si dice ad esempio che possono essere resi 400.000 pixel; o 390.000, o 430.000: e così via. 
Riferendoci invece alla misura più comune, si dicono quante linee (o quanti puntini) si è in grado di distinguere come massimo su una delle due dimensioni del teleschermo, prima che le singole linee (o i singoli punti) si confondano con quelle vicine. 
È chiaro che quando si parla di «250 linee di risoluzione orizzontale», si parla di un sistema o di un prodotto in grado di visualizzare un riumero variabile di puntini uno a fianco dell’altro, fino (e comunque non oltre) il numero 250. 
È importante ripetere che la risoluzione verticale (che indica quante linee o quanti puntini sono distinguibili uno sotto l’altro) è strettamente correlata al tipo di 
si doveva far partire il raggio catodico. 

Diciamo «bianco» al bianco;
e «nero» al grigio

 

Il «contrasto» è evidentemente dato dalla differenza tra il punto più «nero» del teleschermo, e quello più «chiaro» (vedi nota). 

standard usato (es. 520 nell’NTSC americano o giapponese, 625 nello standard PAL o SECAM, 1125 nell’alta definizione proposta dagli europei...) mentre quella orizontale è legata alle possibilità delle macchine o comunque dei prodotti usati, oltre che a quelle dello standard. 
Scusate se ci si ripete su questo punto, ma si sprecano gli esempi di persone che continuano a far confusione. 

A cosa corrisponde?

In pratica, nel nostro sistema televisivo, è direttamente proporzionale alla banda passante. 
Per «banda passante» si intende nel video quello che nell’audio più comunemente viene chiamato «risposta in frequenza». 
Il problema sta solo nel fatto che un’e-spressione viene usata più o meno frequentemente dell’altra, perché in sostanza indicano -la stessa cosa. 
La risposta in frequenza video viene comunemente intesa come estensione verso l’alto della banda passante, perché nel video – e su questo credetemi sulla parola – si usa modulare il segnale su una portante, ed è possibile almeno in teoria partire da zero alle basse frequenze, e quindi il punto di partenza verso le frequenze più basse viene dato per scontato. 
Un’espressione come «banda passante di 5 MHz o di 4 MHz» è dunque già di soddisfazione all’appassionato di video, perché sa già anche da dove si parte: è una banda da zero a 5 o a 4 MHz. Correlando l’ampiezza della banda con la risoluzione, si può – con una semplice formuletta – andare a scoprire quanto permette ciascuno standard, ciascun canale, eccetera. 
Ad esempio, si desidera sapere quanta risoluzione permette nel sistema NTSC una banda passante video di 4.2 MHz? Basta prendere in considerazione la formula 

r =80xBV 

dove r è la risoluzione, 80 è un numero fisso, BV è la banda video

È facile dedurre che una banda di 4,2 MHz permette una risoluzione massima di 336 linee: meno di quella permessa dal Super VHS! 
Se aumentiamo la banda passante, por-tandola a 5 MHz, otteniamo la risoluzione di 400 linee che è quella registrabile su Super VHS. 
Chi non avesse ben chiari i termini del problema, e soprattutto cosa sia il Super VHS, non si preoccupi: non è una cosa essenziale ai fini del nostro discorso. 
Quello che importa di più è la correlazio- 

Per aumentare il contrasto, si può dunque aumentare la luminosità dei punti più chiari; ma questo porta ad alcuni problemi, ed ai problemi più disparati, che vanno dal-l’aumento delle radiazioni nocive (raggi X) - fino alla diminuzione della durata del cinescopio stesso, salvo particolari sistemi di 

ne tra definizione ed estensione della risposta in frequenza. 
 

Frequenza e risoluzione

È già stato detto che la variazione di luminosità di ciascun punto del teleschermo viene resa da una variazione del raggio di elettroni; ed è facile intuire dunque che vi sia un rapporto diretto tra l’andamento dell'onda elettrica che pilota il raggio di el'ettroni, e la maggiore o minore luminosità di ciascun punto del-l'immagine. 
In altre parole, quando sale il segnale elettrico, sale anche (in quel punto) la luminosità di quella parte dell’immagine sul teleschermo, e viceversa quando l’onda elettrica è in fase discendente, diminuisce anche la luminosità del teleschermo nel punto in cui il raggio lo sta illuminando. 
È chiaro che se vi fossero poche variazioni di luminosità sullo schermo, l’imma-gine sarebbe poco definita (vi sarebbero pochi particolari) e nello stesso tempo vi sarebbero poche variazioni nell'onda elettrica; e quindi una risposta in frequenza bassa. 
Se vi fossero invece molti particolari, molti dettagli, la luminosità sul teleschermo varierebbe moltissime volte, giusto per seguire i particolari minutissimi presentati dagli oggetti sul teleschermo. 
A questo punto, alle numerose variazioni di luminosità per unità di tempo, corrisponderebbe evidentemente una variazione di segnale più elevata; e quindi di una frequenza più alta. 
Ne consegue che ad una maggior banda passante, in teoria corrisponde sempre un'imrnagine più definita. Come è vero che nell’audio, ad un incremento della risposta in frequenza verso l’alto corrisponde la possibilità di riprodurre suoni più acuti. 
Dico «in teoria», perché naturalmente non mancano i sistemi per «compattare» in una gamma relativamente ristretta molte più frequenze di quanto parrebbe a prima vista. 
Ma faccio male a fare questo discorso, perché anche di fronte a dei dati com-pattati, se la banda passante è ugualmente più ampia del necessario, c’è comunque la possibilità di stipare più particolari, più dettagli, in una parola... un’im-magine più definita. 

E nel cinescopio,
quali sono i punti critici?

Naturalmente, ci riferiamo al cinescopio a colori. Nel cinescopio in bianco e nero le cose erano molto più semplici, perché bastava una stesura uniforme di materiale adatto: l’area luminosa era quella col- 
raffreddamento, tra i quali non possiamo dimenticare quello (a fluido) impiegato su molti buoni videoproiettori. 
Una buona trovata è anche quella di rendere più nero il nero, sia eliminando gli «aloni» di illuminazione che un raggio anche bene a fuoco provoca sulle aree vicine, 

pita dal raggio; e la risoluzione era dovuta praticamente solo alle dimensioni di quello. 
Con il cinescopio a colori, vi sono invece delle «triplette» con i tre colori primari; e questo complica le cose perché l’esigen-za di un colore qualitativamente buono è in contrasto con quella di avere una buona definizione. 
Ad esempio, per avere un colore puro, libero da interferenze con gli altri, sarebbe necessario che ogni fosforo fosse ben isolato (distante) da quello vicino; ma così facendo i punti luminosi sarebbero distanti tra loro, e di conseguenza, 
 

sia rendendo proprio più «nero» il nero del cinescopio. 
La soluzione che permette di evitare «aloni» luminosi che sconfinano sui punti vicini 

a parità di superficie ce ne starebbero meno. È anche intuitivo il fatto che un cinescopio a colori non può essere così «definito» come uno monocromatico; in quest’ultimo, ogni punto è un elemento completo; mentre nel caso di quello a colori un elemento è costituito da una sottodivisione in tre parti, e comunque il contorno di ciascuna tripletta è meno regolare di quella di un punto solo, di un colore solo e su una superficie uniforme. Le caratteristiche che «fanno» la definizione di un TV sono dunque in sostanza: a) le dimensioni, la regolarità, la vicinanza delle triplette colorate; 
b) la precisione, la focalizzazione e le dimensioni del raggio catodico; 
c) la forma e la precisione della «maschera» posta tra il teleschermo e il generatore di elettroni. 
Lo scopo di questa maschera è quello di eliminare le parti del raggio che non cadrebbero esattamente sul fosforo cui è destinato, e che andrebbero a inquinare il colore debordando un po' sugli altri fosfori. 
È chiaro che la maschera deve disperdere calore, generato da quella parte di raggio che trattiene. 
Se la maschera ha i fori troppo vicini, il calore viene trasportato con più difficoltà, perché diminuisce il materiale termocon-duttivo tra un foro e l’altro. Se i fori fossero lontani, si cadrebbe nel problema già visto: la parte illuminata dello schermo sarebbe inferiore, e la luminosi-tà sarebbe dunque peggiore. 
Come se cid non bastasse, il numero dei fosfor'i per unità di superficie sarebbe minore, e quindi sarebbe minore anche la risoluzione. 
La forma e le proprietà di questa maschera sono più importanti di quanto la gente non creda; e in fondo questo componente è una delle due o tre differenze fondamentali tra i cinescopi «in line» e il Trinitron Sony. 
Recentemente, oltre alla tecnologia che ha permesso di costruire degli schermi molto piatti, ed angoli quadrati, è stato possibile adottare degli speciali sistemi di trattamento antirif lesso, che non risolvono tutto ma qualcosa fanno. 
Infine, la consuetudine di porre un vetro fumé davanti allo schermo, permette di 
"aiutare" il contrasto: le zone del teleschermo spente risultano soggettivamente più nere e meno grigie; mentre le zone illuminate sono ugualmente ben visibili. 
Una delle ultime raffinatezze consiste nel non inviare allo schermo un raggio a sezione sferica, ma ellittica: si compatta così lateralmente l’ingombro del raggio e dei fosfori, e sullo schermo «ci stanno più» punti, o linee; e quindi migliora la risoluzione. 
 


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Una delle innovazioni più importanti di tutta l’evoluzione del cinescopio a colori è stata l’adozione di schermi piatti, e dotati di angoli molto squadrati. Si tratta di un’innovazione di carattere estetico, ma che non manca di conferire una sensazione che è stata definita «gradevole» dalla generosità delle persone.

 


Dall’introduzione del cinescopio «in line», l’innovazione più importante fin ai nostri giorni
che incide direttamente sulla qualità dell'immagine, rimane probabilmente'quella chiamata
«black matrix». È stata adottata prima sui cinescopi giapponesi, e recentemente anche sul
cinescopio Trinitron e da costruttori europei (Thompson). Consiste nel frapporre tra i
, fosfori di diverso colore, delle strisce di grafite. Esse hanno innanzitutto il compito di
, assorbire il piccolo alone che si forma sui fosfori vicini, e di rendere l’immagine più nitida e
contrastata.
Un effetto interessante della tecnologia «black matrix» è quella operata sulla riflessione della luce presente nell’ambiente: la grafite assorbe la luce incidente anche frontalmente, e ne risulta che la quantità complessiva della riflessione è più bassa. Come illustrato in figura, la riduzione può raggiungere anche valori consistenti.
--------------------------------- TRE CINESCOPI

 

Delta

I primi cinescopi a colori in vendita al pubblico erano chiamati «a delta» per-ché i puntini di fosforo erano disposti a formare dei piccoli triangoli; era una formazione che ricorda la lettera «delta» dell’alfabeto greco. Anche i tre generatori di elettroni erano disposti secondo questa conformazione e ciascuno dei reggi prodotti colpiva dunque un tipo di fosforo (rosso, verde, blu). Ogni tanto bisognava «ritirare» la convergenza dei raggi, perché si disallineava-no facilmente, colpendo in parte anche i fosfori di altro colore e comunque generando colori sfalsati e immagini non nitide. 
Anche quando un televisore veniva installato per la prima volta (o trasportato) occorreva chiamare un tecnico per-ché compisse le operazioni di «convergenza». 
Normalmente, a casa delle persone comuni, la qualità del colore era peggiore di quella di oggi, ed in modo evidente; questo sia a causa del fatto che non erano stati messi a punto tutti i trucchi tecnologici del giorno d’oggi, sia a causa dell’imperfetto allineamento. 
Il colore che ne soffriva di più (e che rimane comunque un colore molto critico: ricordiamo solo che si tratta di un colore composto nella televisione, ma un colore primario – ad esempio – nella stampa o nella pittura) era naturalmente il giallo. Un colore molto delicato, perché entra a costituire in modo critico l’esatta tinta della carnagione umana, a cui prestiamo comunque una certa attenzione più o meno cosciente. I volti dei personaggi in particolare, erano dunque molto difficili da rendere con una colorazione ragionevolmente buona: e chi si ricorda quei cinescopi, se li ricorda – da questo punto di vista – senza alcun rimpianto. 

In line

La totalità dei cinescopi in vendita al pubblico oggi sono invece «in line», in quanto i tre fosfori con i colori primari non sono posti a triangolo come quelli visti sopra ma allineati, uno a fianco dell'altro. 
 Anch’esso fa uso di tre raggi, ma naturalmente i dispositivi che li generano sono affiancati, e non più a «delta». 
La maschera posta tra il generatore del raggio e lo schermo naturalmente si adegua a questa disposizione. 

Il «Trinitron»

L'unica azienda che non produce cinescopi «in line» (tra quelle che costruiscono cinescopi per il pubblico televisivo) rimane al giorno d’oggi l‘a Sony, che costruisce un apparato particolare, chiamato «Trinitron». Occorre dire che il cinescopio Sony è molto vecchio; e – riandando a quei tempi – ci si chiede come si potessero vendere dei cinescopi «delta» quando questo tipo era di una superiorità schiacciante. 
Anche se – bene o male – si possono trovare delle spiegazioni razionali più che soddisfacenti: allora i cinescopi Trinitron non potevano essere di dimensioni considerevoli (gli schermi erano piccoli), vi era una sola ditta che li produceva... 
Il Trinitron del giorno d’oggi ha introdotto un qualche miglioramento di rilievo. 
Ma nel frattempo gli altri cinescopi 
hanno fatto passi da gigante, e ormai la differenza qualitativa si è ridotta mol-tissimo, al punto che anche altri cinescopi rappresentano un’alternativa molto allettante. 
Le quote di mercato del Trinitron sono in effetti molto, molto basse; perché ancor oggi non vi sono altre case (al-l’infuori di Sony) che lo adottano. 
In definitiva, l’attuale Trinitron non è come una volta da solo alla meta; ma vanta comunque una qualità eccellente, e nonostante l’età è perfettamente in grado di gareggiare con i cinescopi più moderni. 
Il suo schermo è costituito da «strisce» di fosfori colorati, affiancate e disposte verticalmente. 
Anche la maschera posteriore è costituita da una griglia a bande verticali. 
Una terza particolarità costruttiva che lo differenzia dagli altri cinescopi, è rappresentata dal fatto che i tre fasci di elettroni sono generati da un dispositivo unico, e non indipendente per i tre colori come negli altri casi. Ultimamente anche Sony ha applicato al suo cinescopio la matrice «black», in modo da aumentare il contrasto e la purezza dei colori. 

 

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Le differenze più significative del 7rinitron Sony, rispetto al cinescopio degli altri costruttori, è il fatto che lo schermo non viene illuminato filtrando il raggio con una maschera «a fori», ma a strisce verticali. Negli altri cinescopi, è facilmente verificabile che i fosfori sono spesso disposti come-delle piccole aree rettangolari poste circa una a fianco dell’altra. Nel caso del Trinitron i fosfori dei tre colori primari sono invece disposti a bande verticali che percorrono dall'alto in basso tutto lo schermo.
 
 


Un altro aspetto che differenzia i cinescopi Trinitron dagli altri è il sistema di focalizzazione del raggio, che usa una sola sorgente e una sola lente (a sin) mentre nei cinescopi tradizionali i tre cannoni e le lenti di focalizzazione sono indpendenti.
 

Vi sono tuttavia acuni costruttori che si sono adeguati al sistema di Trinitron, che usa una lente unica.
Sopra, il sistema tradizionale. Sotto, ecco il sistema adottato da Videocolor, cinescopio montato su un sacco di TV (ad esempio, Saba, Tompson, Nordmende...)
 

--------------------------------- IL CONTRASTO IN FORMULA

Per semplicità, nel testo si parla di «contrasto» come differenza tra il bianco e il nero. Per essere un po’ più precisi, e non scandalizzare nessuno per l’eccessiva approssimazione, occorre dire che il contrasto è basato sul differenziale tra la luminanza di un oggetto e quella dello sfondo.
Ricordiamo che la luminanza è a sua volta una grandezza fotometrica che indica l’intensità luminosa di un’area puntiforme. Anche una superficie riflettente può avere una sua luminanza; e questo ci dice che la luminanza non è un valore da riferire unicamente agli schermi con proprietà emissive (che producono luce in proprio) ma anche – come nel caso dei cristalli liquidi – in quei casi in cui gli schermi sono prodotti da opacizzazione di un fondo illuminato (a retroilluminazione) o da riflessione di una luce che li illumina anteriormente. La formula che si può incontrare facilmente per indicare il contrasto è la seguente:
 

----------Lt – Lb
 C=+ –--------------- 
-----------Lt+ Lb

L t: luminanza dell'oggetto
L b: luminanza dello sfondo

Ora che abbiamo fatto bella figura con la formula, possiamo anche dire che un metodo pratico e semplice per indicare il contrasto, è quello di esprimerlo semplicemente come il rapporto tra la luminan-za dell’oggetto e quella dello sfondo.
È insomma ancor più facile che sentiate gli specialisti ed i ricercatori che dicono «con questo metodo si riesce ad ottenere un contrasto di venticinque a uno», oppure: «perché il contrasto sia sufficiente è necessario che sia almeno di "20:1. Non è difficile immaginare, che "20" è la luminanza della parte più chiara, «1» quella della parte più scura dello schermo.
 

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